Dopo il saluto del Preside e prima della riflessione del prof. Sergio Bastianel, a cui diamo fin d’ora il più cordiale benvenuto e manifestiamo la nostra riconoscenza per aver assunto il non facile compito di entrare in interlocuzione critica con il pensiero di Angelini, questa mia presentazione svolgerà alcune brevissime considerazioni relative alla prima parte del volume, le Tracce di un pensiero fecondo, la sezione successiva al dialogo con Angelini, realizzato dal preside, prof. don Massimo Epis, e intitolato Memoria e profezia. Intervista a mons. Giuseppe Angelini. Questa breve introduzione si coordina con l’intervento del prof. Markus Krienke che, subito dopo di me, a sua volta presenterà i contributi della seconda parte, dedicata alle Questioni nodali.
In primo luogo, vorrei notare che gli autori che hanno contribuito alla prima sezione sono partiti dall’interpretazione dei testi della sterminata bibliografia di Angelini (più di 500 titoli). Non possiamo che essere loro grati per lo sforzo compiuto – non per nulla questa opera collettiva, nata peraltro nella collaborazione di tutti i docenti di teologia morale della nostra Facoltà, ha richiesto parecchi anni di tempo per la sua chiusura –! Tuttavia è ancor più importante rilevare che questo lavoro non può essere ridotto ad un esercizio di studio concettuale astratto. È la necessità di tornare “alla cosa stessa”. È merito indiscutibile di Angelini che i suoi scritti, volumi, saggi, conferenze, introduzioni o postfazioni a curatele di opere collettive, rimandino sempre alle forme pratiche dell’esperienza: è di queste che impegnano a comprendere nodi e snodi, articolazioni e sviluppi, fecondità e ambiguità. I suoi testi interpretano il vissuto, le forme dell’agire, del costume civile e della testimonianza ecclesiale.
In secondo luogo, mi piace sottolineare che per nessuno degli autori di questa prima parte, il teologo Angelini era – e non poteva essere altrimenti – uno sconosciuto, considerato che siamo (o sono stati) tutti docenti della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Tuttavia il lavoro in cui ci siamo cimentati ci ha dato occasione di leggere, approfondire, riprendere in modo sistematico una parte – o un settore – della sua bibliografia. Ognuno di noi ha svolto questo compito ben consapevole dell’ardua difficoltà a selezionare i testi di Angelini, per riferirli all’ambito disciplinare particolare che ci era stato assegnato nella diligente scansione dei contributi. Perciò, le singole presentazioni di questa prima parte, pur articolandosi secondo le divisioni della teologia pratica (morale, spirituale, pastorale) e quelle interne alla morale – fondamentale e speciale, sessuale, sociale e della vita – non possono in alcun modo essere separate l’una dall’altra: la loro partizione è legata solo a una scelta didattica e funzionale alla divisione del lavoro. Angelini è un soggetto che non si presta a divisioni disciplinari. In perfetto accordo tra loro, ma senza alcun nessun accordo previo o precostituito, lo ha notato ciascuno di noi.
Lo dice bene Bonandi, quando, accennando ad alcuni degli interessi e delle tematiche coltivate da Angelini, ha parlato di «Scrittura, Chiesa, catechesi, liturgia, dottrina trinitaria» (p. 71) e a queste potremmo aggiungere altri temi di spiritualità, pastorale, teologia sistematica e fondamentale. Anche nell’ambito morale, con particolare riferimento alla morale sociale, proponendo un elenco non esaustivo, Bonandi indicava i seguenti temi: «politica, cultura, democrazia, diritto, educazione, economia, giustizia, lavoro, sport, ma anche ambiente, bioetica, questioni di genere (sessualità, matrimonio e famiglia), ecc.» (p. 71-72), senza contare poi tutti i principali temi della morale fondamentale.
Io stesso notavo che è un tratto caratteristico del pensiero angeliniano che «esso non è circoscrivibile nei limiti di una disciplina, ma si inscrive nell’ampio contesto della teologia tout court» (p. 5). Dal canto suo, anche Mazzocato ha scritto che, in Angelini, «le tematiche della morale “speciale” sono […] viste come i “luoghi” a procedere dai quali le articolazioni fondamentali della teoria morale vengono all’evidenza» (p. 43). Egualmente, Seveso, ponendosi dal punto prospettico della pratica e della teologia pastorale, ha affermato che «la riflessione teologica di Angelini spazia instancabilmente su tutte, o quasi, le questioni venute in agenda negli ultimi decenni nella pastorale delle Chiese, locali e universali: dai catechismi e dalla catechesi alla famiglia, dalla questione educativa alla liturgia, dall’omelia alla politica e al governo ecclesiale. La ricognizione bibliografica della sua produzione teologica rende conto della ricchezza e molteplicità di interventi» (p. 194). Infine, anche Cucchetti ha messo in rilievo come, pur essendosi solo trasversalmente interessato delle questioni che oggi vengono ascritte all’indice della cosiddetta “bioetica”, anche in questo campo Angelini si è accostato con quell’«interesse fondativo e critico» (111) che caratterizza tutta la sua teologia.
In terzo luogo, mi pare evidente che la lettura che ciascuno degli autori della prima sezione dà di Angelini è (giustamente) mediata dalla elaborazione del pensiero personale e dunque dai propri studi, frequentazioni, esperienze: Bonandi non è Angelini (sorella), Cucchetti non è Chiodi, Seveso non è Mazzocato. Per questo, pur nell’ermeneutica rigorosa del pensiero teologico di Angelini, ognuno dei contributi “cela e svela” molto il teologo che in essa si cimenta. All’origine delle evidenti differenze di scrittura e analisi, pur accomunate dall’unico interesse per i testi dell’autore (teologo), sta dunque il carattere e lo stile inconfondibile di ciascun lettore (teologo). Non può che essere così: ognuno di questi contributi presenta un’ermeneutica personale degli scritti di Angelini. È un circolo virtuoso senza sosta: dall’autore all’interprete al lettore e così via. Al lettore e dunque a ciascuno di voi, affidiamo la valutazione critica delle nostre ermeneutiche.
Per documentare, con un solo esempio, lo stile assolutamente personale di ciascun interprete direi: chi – se non la sorella, monaca benedettina, M. Ignazia Angelini – si sarebbe permesso di scrivere, ad esempio, che, in forza della «forma monastica» della sua elaborazione teologica del vissuto di fede, il pensiero di Angelini è connotato da un «tratto di solitudine» (p. 142) che non solo non è stato «sempre colto nella sua portata incoativamente innovatrice di un trattato teologico» (p. 142-143), ma che soprattutto sta all’origine «dei conseguenti aspetti perentori e critici, fino all’amarezza, che rendono non poco dura, a volte irritante, se non indisponente, la lettura dei suoi testi teorici» (p. 143)?
Avviandomi alla conclusione, ben consapevole che non è questo né il luogo né il momento per entrare, da parte mia, nell’analisi e nel dibattito critico con la riflessione teologica elaborata dal prof. Angelini, non posso però non mettere in evidenza, con forza, che dalla lettura dei suoi scritti possiamo trarre almeno una prima fondamentale istruzione. La riassumerei così: all’origine di ogni discorso c’è la pratica di un ascolto, che è insieme sorpresa (meraviglia) e ripresa (ermeneutica). La scrittura del nostro nasce da un’attitudine di ascolto, insieme sorpreso e interpretante; questo ascolto sta alla base del suo prendere la parola e genera un ricco dialogo. Si tratta di una disposizione strutturale che si articola diversamente e inseparabilmente: è l’ascolto meditante della Scrittura, che attesta il compimento della Rivelazione di Dio nel suo Figlio, l’Unico, e che ora è accessibile solo a procedere dalla coscienza credente, nel suo rapporto costitutivo al ministero della Chiesa; è l’ascolto delle forme concrete dell’esperienza antropologica, nella sua valenza responsiva, drammatica e sempre mediata culturalmente, che nel tempo pieno del Vangelo trova il suo compimento; è l’ascolto della cultura riflessa, nel confronto diuturno e intelligente con la filosofia, in particolare quella moderna e contemporanea, e nella reinterpretazione della storia della teologia tutta, non solo nella declinazione specificamente morale, di cui Angelini sa evidenziare i limiti teorici e riprendere le istanze. Questo orizzonte teologico, largo ed enciclopedico, nel senso migliore, gli permette di propiziare e anzi produrre un rinnovamento fecondo per la teologia morale, nella quale egli merita senza alcun dubbio – ovviamente a parere di chi parla – di essere annoverato tra i teologi, gli intellettuali e i “maestri di pensiero” più significativi dell’epoca post-conciliare.
Si aprirebbero a questo punto sentieri di riflessione che qui, per quanto mi riguarda, non possono che rimanere interrotti. Questo è, piuttosto, il momento per tributare al prof. Angelini un omaggio grato per la sua stimolante e provocante fatica intellettuale. La riconoscenza, tuttavia, non può essere sterile, sennò non sarebbe riconoscenza. Essa chiede, da parte nostra, la ripresa creativa di una eredità, che non può reificarsi in una lettera morta, ma ci impegna come teologi a proseguire una via, a raccogliere, appunto un’eredità che rimanga viva, non sotterrata e nascosta nella semplice ripetizione del pensiero di un altro.
La fecondità di una riflessione, come è evidente per quella di Angelini, sta nella sua capacità di interpretare il vissuto, proponendo idee, aprendo stimoli, individuando nuove vie e modelli teorici, e lasciando infine che altri proceda, in quell’incessante sforzo di intus-legere la fede cristiana che, nella sua forma pratica, rappresenta un momento decisivo per l’edificazione di una civiltà all’altezza del suo compito di umanità.
Maurizio Chiodi
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano 19 dicembre 2019
Temi: Novità editoriale