Paolo Martinelli (ed)
27 aprile 2020
L’afflato che attraversa i contributi raccolti in questo volume riguarda il rapporto tra il carisma della vita consacrata e la Chiesa locale, ma nella prospettiva di un cambiamento d’epoca, di un «travaglio epocale» (139) che non può lasciare immune la vita religiosa. Essa, «in quanto realtà carismatica suscitata dallo Spirito Santo, è per sua natura istanza riformatrice» (140). «Il chàrisma» (55), è «in vario modo espressione della grazia di Dio nella sua forma riconoscibile e sperimentabile, espressione quindi del suo amore di benevolenza che si manifesta in tutta la sua bellezza e forza a favore della vita degli uomini, rendendoli partecipi della sua gloria. si tratta sempre e solo di un dono, che però si concretizza in un ampio ventaglio di realtà, entrando in rapporto con la personalità di ciascuno, la realtà della Chiesa e la condizione storica» (56). E poiché la vita consacrata è essenzialmente un carisma nella Chiesa, «è sugge- stivo pensare in questo modo» (56) ad essa. Riconoscendo la difficoltà storica del rinnovamento auspicato dal Concilio Vaticano ii, e in un mondo decisamente cambiato, il punto nodale della pro- posta contenuta nel testo sta in questa nuova comprensione teologica della vita consacrata e la conseguente capacità nella Chiesa di tradurla efficacemente in vissuto, dentro le dinamiche ecclesiali ordinarie. Viene messo a disposizione del pubblico il dibattito promosso sul tema dall’Arcidiocesi di Milano e dal centro studi di spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale.
«Il nuovo percorso» dà «continuità alla riflessione già avviata in occasione dell’anno dedicato alla vita consacrata» (X), spiega il curatore, in un tempo di riforma in cui «la Chiesa intende impegnarsi a rispondere alle attuali esigenze di rinnovamento, per mantenersi fedele alla propria vocazione» (X). Gli au- tori focalizzano la vita consacrata come realtà da verificare e rilanciare quale strumento privilegiato di testimonianza e di costruzione di un volto ecclesiale significativo dentro i profondi cambiamenti avvenuti nella nostra società. Ciò è possibile nella misura in cui la Chiesa tutta impara a comprendere nuova- mente l’identità teologica e il senso profondo della vita consacrata. Il rischio di qualche scivolamento funzionalistico esiste. Per questo sono particolarmente interessanti i richiami alla visione più autentica della vita consacrata, realtà senza dubbio in crisi nell’attuale dinamica ecclesiale, e tuttavia ancor più «chiamata ad essere profezia dell’umano» (141), per «mostrare nell’esistenza il senso dei legami e delle decisioni che assumano il rischio della perseveranza» (140-141). Il volume si suddivide in tre parti, e raccoglie gli interventi di diversi esperti. Nella prima si aprono varchi per comprendere i Contesti sociali e condizioni ecclesiali per il sorgere e lo sviluppo della vita consacrata. L’interesse si orienta «ad alcune domande di fondo: nel paesaggio attuale di riforma, dove e come si colloca la riforma della vita consacrata mentre cerca di trovare ciò che le è proprio? E ancora: qual è la testimonianza che la Chiesa esige oggi dalla vita consacrata?» (XI). Attraverso un excursus storico che ripercorre le immagini con cui la chiesa si è auto compresa, nell’intento mai trascurato di incarnare la vita trinitaria nel mondo, e con lo scopo manifestato dal Vaticano II di «ri- trovare linfa viva nella tradizione oltre le tradizioni» (12), la teologa Michelina Tenace focalizza nella necessità di testimoniare la «Chiesa comunione» il filo conduttore per una riforma autentica anche della vita consacrata. «Oggi si devono manifestare luoghi di comunione, di apertura, di dialogo» (12), e per questo è necessaria una riforma profonda: «deve avvenire una conversione allo Spirito che fa gustare la vita che è già seminata, già versata dentro di noi come comunione» (20). A partire da questo necessario cambio di mentalità, l’autrice evidenzia uno scardinamento dell’ideale individualista di vocazione, intesa come «ideale da realizzare» (20).Sulla stessa linea, il sociologo Salvatore Abruzzese analizza gli elementi antropologici e sociali che, caratterizzando la cultura post-contemporanea, rendono ardua l’esperienza della chiamata fra i giovani. Le persone si trovano oggi davanti una gamma infinita di possibilità di scelta, senza chiari criteri di riferimento che facilitino una opzione adeguata. Si esige una responsabilità individuale eccessiva, dentro una rete di legami sempre più fragile, in «un primato del presente che finisce con lo sfociare in una vera e propria cultura della rinuncia a favore di un piacere immediato da ottenere nell’immediato del qui e ora» (39). Nella crisi di relazioni che ne consegue, «la vocazione religiosa si manifesta così come la forma più radicale di contestazione e di opposizione all’individualismo autoreferenziale contemporaneo» (43). Si pone un orizzonte di riforma affascinante, che presuppone «l’ammissione della trascendenza» come base essenziale della vita consacrata, ben consapevole di essere «profondamente incomprensibile per una società secolarizzata» (48). Nasce quindi il quesito: riuscirà, la vita religiosa, a trasformarsi in modo da incarnare in maniera credibile questa immutata vocazione escatologica? La seconda parte del libro, dedicata al tema Vita consacrata e Chiesa particolare: condivisione del carisma e presenza pastorale, cerca di rispondere al quesito suggerendo la via dell’incarnazione nel vissuto della realtà diocesana, in una dinamica di «reciproca appartenenza» (60), che presuppone la decisa riscoperta della radice carismatica della vita consacrata. Dentro il necessario alveo di presenza nelle Chiese particolari, nelle quali si concretizza la missione della Chiesa universale, mons. Pierantonio Tremolada evidenzia che «la vita con- sacrata raccomanda alla Chiesa diocesana di puntare sull’essenziale nella sua azione pastorale» (65), con una scelta precisa: «un ritorno all’essenza carismatica delle forme della vita consacrata, ponendo in primo piano lo spirito evangelico dei fondatori e lasciando più sullo sfondo la risposta ai bisogni sociali ed educativi con le opere ad essi corrispondenti» (64). Il passaggio non è scontato, ma appare come l’unica via percorribile; corrisponde all’esigenza insita nella cultura postcontemporanea «di andare oltre le strutture e gli ambienti per raggiungere il cuore delle persone a partire dal cuore del Vangelo, rispondendo al diffuso desiderio di vita» (66). Luca Bressan insiste sulla stessa linea, a partire dall’esperienza della Chiesa milanese, proponendo una prospettiva teologico-pastorale che lancia una sfida declinata su cinque scenari di rilettura della «forte trasformazione che come cristianesimo e come Chiesa stiamo vivendo in questi decenni» (68). La sfida è che la riforma non si situi «a un livello semplicemente organizzativo, ma giunga a toccare l’essenza stessa del mistero» (85), che è la Chiesa. Per questo, è necessario attraversare gli scenari dell’immaginazione, della provocazione, della contestazione, del riconoscimento e della necessità, che sono paradigmi di interpretazione di come la vita consacrata stessa si sia evoluta dentro l’orizzonte della Chiesa locale dal Concilio Vaticano II ad oggi. L’autore arriva a proporre l’esigenza per i cristiani e per la società secolarizzata di comunità che siano «parabole viventi, […] luoghi che facciano rivivere il fervore degli inizi dell’esperienza cristiana, consegnando al tempo stesso gli strumenti per una sua attualizzazione dentro la cultura digitale che sta rivoluzionando la nostra antropologia» (86). La logica dell’incarnazione qui prospettata diviene testimonianza e proposta nei contributi della terza parte, che riportano tentativi concreti di pensare una presenza nuova della vita consacrata nella Chiesa diocesana. I vissuti riportati si riferiscono a La vita consacrata nella vita spirituale e nell’azione pastorale diocesana, lasciando un appello, per nulla semplice da realizzare, affinché si passi «all’avvio di processi condivisi di progettualità pastorale, frutto di cammini sempre più sinodali in una Chiesa locale che convoca e valorizza tutti i carismi e le ministerialità, perché tutti siano coinvolti in una “nuova uscita missionaria”» (105). Ci sia permesso di concludere sottolineando che tale auspicio richiede una decisa riforma non soltanto della vita consacrata, ma anche della Chiesa locale stessa, per lasciarsi coinvolgere in un processo di ritorno alle radici sacramentali del proprio stesso esistere. che sia lo spirito santo, prima di tutto, il protagonista di questa conversione spirituale e pastorale. E che non siano troppo pesanti le resistenze, perché questo è il kairos da abitare.
fonte da: Rivista Teresianum 71 (2020/1)-(229-232)
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