Glossa Editrice
copertina 9788871054001

Luca M. Bucci

Teologia della malattia. I tentativi dei teologi del Novecento

Recensioni

  • Recensione di Paolo Cattorini

    01 dicembre 2018

    L’esperienza della malattia interroga sotto vari aspetti il pensiero credente. Anzitutto, la sofferenza dell’innocente contesta la giustizia del creato e interpella l’antico alleato divino, che sembra scivolato in un’incomprensibile latitanza. In secondo luogo, il paziente è colpito non solo a livello psicofisico, ma barcolla nelle sue intime risorse morali, non riconoscendo più attuale l’originaria promessa di felicità. Infine, la condizione angosciata di chi fronteggia patologie croniche (inguaribili, anche se in parte curabili) induce a semplicistiche soluzioni di ordine spirituale: il mutismo indifferente, la resa codarda, l’accanimento vitalistico, la deriva doloristica.

    Appare dunque urgente che la teologia contemporanea ripensi le proprie categorie teoriche (colpa, prova, speranza, abbandono) e formuli in maniera coerente il rapporto tra la dimensione passiva (l’affetto, il turbamento, la debolezza) e quella attiva (il discernimento critico, la libera volontà, le opere della fede) della decisione morale, contrastando la rimozione della morte, la privatizzazione del costume, la tecnicizzazione degli atti assistenziali. In tale prospettiva, Luca Bucci, sacerdote cappuccino di Genova, in questo volume offre una preziosa compilazione ragionata delle voci religiose che hanno tematizzato più puntualmente il nesso tra malattia, coscienza credente, esegesi biblica e cifre filosofiche fondamentali.

    L’indice scandisce ordinatamente tale ricognizione, segnalando gruppi di autori che condividono una preoccupazione teorica prevalente. Congar, Guardini e Rahner prestano una decisa attenzione al significato spirituale del patire e alle corrispondenti domande di senso: un «buon uso» della malattia non esclude la protesta, ma apre varchi di crescita personale, anche attraverso la condivisione della vita ecclesiale. Von Balthasar e Tillich analizzano la rilevanza dell’angoscia: il primo, in chiave direttamente teologica; il secondo, nel confronto con la cultura moderna (in particolare psicoanalitica).

    La theologia crucis protestante è attualizzata da Barth e Bonhoeffer. Per quest’ultimo, l’etica cristiana non deve respingere la vita, ma affermarla ed esserle fedele, così che la salute (bene penultimo) possa rinviare simbolicamente alla salvezza. La «teologia militante» di Moltmann, Metz e Pannenberg legge i fermenti di critica sociale e le nuove istanze di liberazione come segni anticipatori di un Regno che autorizza a sperare in ciò che viene e verrà come dono di Dio. Schillebeeckx procede da una coraggiosa meditazione dei testi evangelici – in particolare i racconti di guarigione – per qualificare la promessa messianica in un Dio che vuole la pienezza di felicità dell’uomo da lui creato.

    Le linee di ricerca della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Angelini in primo luogo, ma anche Sequeri, Chiodi, Mazzoccato) esercitano un influsso determinante sulle riflessioni di Bucci. La nozione di vita è depurata da vizi bio-naturalistici e restituita alla sua valenza etica, quale anticipazione biografica di un bene incondizionato il cui compimento è garantito e rivendicato dal Dio della promessa. D’altro canto, viene denunciata la precipitosa assimilazione di ogni sofferenza alla croce di Cristo. La malattia impone una conversione, esigendo un rinnovato atto di fede nel principio di ogni speranza.

    Il volume documenta utilmente un’ampia esplorazione testuale. Le considerazioni critiche sui teologi esaminati necessiteranno (in un’auspicata prosecuzione d’indagine) di una ripresa originale più profonda e di un confronto più serrato rispetto ai referti fenomenologici che la letteratura contemporanea ha dischiuso.

    fonte da: https://www.laciviltacattolica.it/recensione/teologia-della-malattia/