Gilberto Sabbadin
22 dicembre 2020
« Ci vuole coraggio a scrivere un libro su Jean Danièlou », cosí inizia la
Postfazione, che costituisce il migliore ingresso al corposo saggio (pp. 651-657)
– frutto di una ricerca dottorale presso la Pontificia Università Gregoriana – del giovane presbitero del Patriarcato di Venezia, origine geo-ecclesiale peraltro intuibile dai due testi introduttivi di circostanza. L’intera ricerca nasce da un’intuizione che sarebbe rimasta solo vuota ambizione se non fosse stata suffragata da uno studio integrale, analitico e sistematico dell’intero corpus degli scritti del teologo francese. L’ipotesi euristica perseguita sta nel « fatto che solo la prospettiva ecclesiologica potrà comporre in una visione tendenzialmente unitaria l’identità pluriforme della sua teologia » (p. 18), come ben reso dall’ampia titolazione del volume. A riprova di tale impresa temeraria si erge l’imponente prima sezione del saggio, cioè la Lettura diacronica delle opere di J. Da- niélou (pp. 21-317) che fuga ogni dubbio sulla effettiva conoscenza delle oltre cinquanta pagine di Bibliografia (pp. 579-638). Vera innovazione, tra le tante, di questa perlustrazione ragionata è il cap. III dedicato a tutti i Bulletins du Cercle S. Jean Baptiste (1948-2005), fonti mai finora affrontate in modo analitico e integrale. Viene consegnata alla comunità scientifica, di fatto, una introduzione ragionata all’opera di Daniélou, che potrebbe anche essere pensata come libro autonomo, scorporato dal corposo volume che invece lo include – con la fatica redazionale connessa – come fondazione inconcussa di tutta la seconda sezione sistematica successiva (pp. 321-577). La Lettura sincronica e tematica di J. Danièlou – seconda sezione – è articolata quasi come una clessidra che vede l’ingresso dell’analisi nel Profilo teologico (cap. IV) e l’uscita nella Genesi di un teologo (cap. VI), e ponendo come attraversamento nodale la strettoia della Proposta di lettura teologica in chiave ecclesiologica (cap. V) della teologia del cardinale parigino. A clessidra svuotata, la Conclusione prospettica (pp. 561-578) ribalta nuovamente il percorso della sabbia del pensiero, suggerendo che «Vita e studio ci sono apparsi come due fuochi di un’unica ellisse, in una circolarità che renderebbe foriero di equivocità il tentativo di separarli, leggendo la teologia a prescindere dalla vita, o viceversa. […] In ciascuno dei due fuochi dell’ellisse ci ha condotti l’ecclesiologia: dalla chiesa per tornare alla chiesa e da qui ripartire nuovamente, in un ininterrotto ciclo che porta a scrutare un itinerario di vita profondamente ecclesiale e una rotta di studio decisamente, seppur non vistosamente, orientata dall’ecclesiologia» (p. 561). Complessivamente sono almeno tre i grandi apporti generali della ri- cerca. Innanzitutto, una acquisizione metodologica che per la sua integralità è tanto ammirevole quanto ardua e necessaria per sdoganare approcci ermeneutici riduttivi e stereotipati che si tramandano nel tempo. La medesima operazione svolta per Daniélou, insomma, andrebbe presa come riferimento per molti altri autori, temi e questioni bisognose di riscatto, ma soprattutto di una visione corretta e non semplicistica. Una seconda acquisizione riguarda la portata di un teologo e del suo contributo che vengono disincagliati da molte secche e vicoli ciechi che attraversano tutto il Novecento segnato dalla svolta del Vaticano II che traccia certamente “un prima e un dopo”, ma che non deve costituire una cesura che inficia l’approccio integrale a tutte quelle realtà che ne hanno attraversato completamente tanto “il prima” quanto “il dopo”. Infine, emerge l’acquisizione di una teologia a tutto tondo al di là di tutti gli steccati fittizi delle nomenclature delle discipline teologiche o di categorie interpretative logore delle quali è stato vittima anche l’approccio a Daniélou. Emerge dall’architettura complessiva, come da ogni singola pagina analitica, quella unità di fondo che innerva la vita autentica e della quale spesso sentiamo la nostalgia, dispersi in mille rivoli di specializzazioni, bibliografie e dettagli alle quali può mancare il respiro vitale di quella sintesi di scienza e sapienza, midollo di quella « unitarietà tra la ricerca scientifica e la statura vocazionale da lui [Daniélou] vissuta » (p. 489). I temi degni di nota sono numerosi e ben articolati nel cap. V, cuore della ricerca. Il “laboratorio patristico” di Daniélou lo porta a concentrarsi su alcuni nuclei semantici forse un po’ inattuali nel panorama della letteratura ecclesiologica contemporanea: il paradiso ritrovato (pp. 403-429); la “centralità sintetica” del Giorno del Signore tra riposo, anticipazione e comunione (pp. 430-438) e il rapporto tra creazione, storia della salvezza e chiesa che costituisce la filigrana di tutto l’ordito sacramentale (pp. 439- 468). Intensa e promettente è l’immagine del giardino che abbraccia la dinamica dell’agire di Dio nella creazione, nella storia, nella liturgia in quel « giardino sacramentale » tra « attualità e presenza » che sono i sacramenti (pp 449-459). La chiesa è nuovo Paradiso, che significa appunto giardino. Accanto a questa immagine cosí “fragrante”, Sabbadin, come conclusione sistematica di una visione di chiesa, indica poi la categoria di perigraphê, resa con circoscrizione, « scivolando volutamente nel paradosso, tipico dei misteri di Cristo, che porta a intenderla come una realtà circoscritta di quanto, in realtà, è incircoscrivibile » (p. 568). In chiave piú sistematica, l’A. rilegge i pilastri costitutivi dell’ecclesiologia sia alla fine del cap. V che nella sapiente tessitura della conclusione prospettica. Chiesa e Pasqua, chiesa e Trinità, chiesa e missione possono costituire il trittico dell’ecclesiologia sistematica frutto di tanta analisi (pp. 468-479 e 561-576). La realtà della chiesa emerge nella sua pienezza e profondità di connessione con la Rivelazione di Dio, oltre tutti i possibili e frequenti riduzionismi misterici, istituzionali, carismatici, comunionali ecc. ai quali, purtroppo, già lo stesso titolo del volume è esposto, in prima battuta, nominando la parola “chiesa”. Un’attenzione autonoma va accordata al metodo teologico di Daniélou che presiede tutti i contenuti finora accennati, cioè la tipologia (pp. 380-400). Si tratta del « metodo della teologia della storia », « principio di intelligibilità della storia santa, della quale la sacra Scrittura è la chiave di interpretazione ». Poi, « l’origine della tipologia è san Paolo, il quale ne aveva appreso la metodologia nelle scuole rabbiniche nelle quali si era formato, dandone però un senso completamente nuovo » (p. 381). Importante è inoltre il ruolo della « profezia nella tipologia » (p. 562) nel suo sguardo simultaneo all’origine e al compimento della storia. Il cap. VI potrebbe costituire in se stesso un libro autonomo (pp. 489-560) – preferibilmente con tutti i testi originali francesi citati tradotti in italiano –, quale biografia intellettuale e vocazionale di Danièlou, delineata con una scrittura appassionata e mettendone in luce le copiose iridescenze. Nel seguire la genesi di un teologo prende “carne e sangue”, infatti, tutta la prima sezione, cosí analitica e vasta quanto la qualità testimoniale di chi l’ha prodotta e di chi l’ha studiata tutta, con l’inchiostro, il sudore e le lacrime che accompagnano ogni vera passione, anche quella della ricerca teologica.
fonte da: "Studia patavina" 67 (2020) 3
Recensioni